Ieri si
è assistito alla terza diretta streaming legata alle consultazioni per la
formazione di un nuovo governo. Stessa location e stessi partiti. Partito Democratico, da una parte, a
cercare di portare avanti le proprie proposte e Movimento 5 Stelle, dall'altra, a cercare di rendere il più chiaro
possibile il proprio distacco e la propria indisponibilità a parlare.
Sono cambiati i personaggi però. Facciamo un po' di storia. Il primo a provare
l'ebrezza democratizzante e trasparente della diretta streaming di fronte ai
grillini è stato Pierluigi Bersani.
E' stato anche il primo a sbattere le corna contro il muro di Roberta Lombardi e Vito Crimi. Sebbene un poco penoso ad insistere sulle possibili alleanze e
convergenze Bersani è stato, a parere di chi scrive, anche il solo ad avere accennato un
discorso concreto e vagamente politico.
Una nuova fase politica si è aperta o si assiste all'ennesima variazione del tema?
Di mio, ho la netta impressione che le eccessive dimostrazioni di fiducia verso il nuovo governo, non abbiano basi alcune.
Stando ai fatti, e non alle suggestioni, né proiettando speranze nostre sulle concrete possibilità di Renzi, mi pare che di nuovo rispetto a Letta vi sia ben poco (ma questo potrebbe essere pure un punto a favore, in realtà)
All'alba del nuovo governo di Matteo Renzi, mettiamo in fila qualche dichiarazione del trentanovenne ex sindaco di Firenze, e vediamo quanta coerenza è possibile riscontrare nelle sue frasi.
“Governo
avanti ma si devono fare le cose”, Matteo Renzi 3/12/2013
"Non
farò cadere il governo", Matteo Renzi a Porta a Porta, 3/12/2013
I recenti fatti di cronaca politica, ed in particolare le dimissioni di Letta e l'incarico di formare un nuovo governo a Renzi ha scosso il mondo politico e lasciato sostianzalmente di stucco anche i più noti osservatori. Cerchiamo di capire che è successo e come prevedibilmente evolverà lo scenario. Chi ha seguito i precedenti articoli sa che, a parere dei curatori di questo blog, Renzi aveva una strategia molto semplice da seguire:
Fare approvare la legge elettorale
Andare ad elezioni
Vincere e provare a governare
Ma quali sono allora i motivi che hanno spinto il presunto imberbe sindaco fiorentino a mischiare in questo modo le carte?
Le mosse che ha a disposizione sono, in sostanza, due:
1. Fare cadere il governo
2. Non fare cadere il governo
E' naturale che Renzi sia portato naturalmente alla prima ipotesi. Il tempo gioca contro di lui. In questo momento Berlusconi è ancora debole, il nuovo centro destra è organizzazione parlamentare e non partito politico. Il PD sostanzialmente stabile. I grillini sbraitano molto, ma è probabile che il loro peso elettorale non debba aumentare, anzi forse contrarsi un poco. Scelta Civica è in dispersione. SEL conta assai poco. La Lega è gravemente ferita ed il suo elettorato è in fuga.
Tirando, le fila, anche ipotizzando un Berlusconi con l'elmetto per la campagna elettorale, è probabile ipotizzare al peggio uno scenario elettorale non troppo dissimile da quello emerso nelle ultime legislative.
Vale a dire, uno scenario che con l'attuale legge elettorale fa rima con ingovernabilità (o larghe intese), ma che,
Perché non mi piacciono? Per il cosa ed il come. Il cosa: non si sa chi sono, non si sa cosa vogliono. Il come: sono una parodia violenta, ignorante e goffa dei movimenti che hanno accompagnato questo paese lungo la conquista della libertà, della democrazia, dello statuto dei lavoratori, del divorzio eccetera eccetera
Libera ormai dall'assillo e la frenesia della vita da ministro la nostra cara Mara Carfagna, su twitter lancia insinuazioni...
La cosa mi ha un poco incuriosito, anche perché, diciamo la verità, il concetto di gossip nel centrodestra italiano sta estendendosi fuori misura A chi si riferiva Mara??
La risposta è presto detta. Si riferiva al parlamentare PD Andrea Sarubbi il quale sottolineava come la Carfagna si fosse limitata ad entrare in Commissione Affari Sociali per poi subito uscire (intascandosi tuttavia la diaria)...
Ma ecco che a questo punto l'ex ministro escogita una risposta che ha del genio, indubbiamente.
Nel 2005 per Berlusconi è un brusco risveglio. Per la prima volta gli italiani gli hanno votato, compattamente, contro.
E' la prima volta. Se nel 1996 la sconfitta si poteva spiegare in base a cavilli della legge elettorale, data la mancata alleanza con la lega nord, così non è nel 2005. Alle regionali berlusconi è punito con un secco 2 a 12. 12 regioni vengono confermate o passano ad essere governate dal centrosinistra.
Berlusconi non demorde, reagisce di fronte a coloro che vorrebbero infine la sua testa sul piatto, Udc in testa, che proprio a partire da ora incomincerà il distacco dalla nave del Polo delle libertà.
Reagisce incolpandosi solo di non essere stato abbastanza attivo.
Poco male - sostiene, mi rifarò alle legislative dell'anno prossimo che si possono, che si devono vincere.
E' una campagna elettorale in grande stile quella di Berlusconi. Applica profusamente tutte le sue conoscenze, vastissime, di vendita e comunicazione.
Gli si contrappone il suo opposto antropologico. Prodi e Berlusconi. Neanche uno sceneggiatore, nel voler simboleggiare i due caratteri di quest'italia dei campanili, avrebbe potuto trovare di meglio. Tanto uno vive degli applausi e del consenso, tanto l'altro vive di pedalate in bicicletta e conversazioni dotte con la cerchia ristretta e selezionatissima di amici. Esuberante l'uno, introverso l'altro.
Amato dai suoi ed odiatissimo dagli altri il milanese. Stimato ma mai veramente amato dai suoi e deriso dai berluscones il bolognese.
Lo scontro che a qualche mese dalle elezioni sembra scontatissimo, ed a favore di Prodi, si fa incerto, mano a mano che aumentano le apparizioni ed i coup de theatre di Berlusconi. Non si fa mancare niente. Liti alla confindustria, coglioni agli italiani, fino all'ultima sera prima del silezio pre-elettorale.
Gustatevela.
Ma non lasciatevi trarre in inganno. Berlusconi, lui, il maestro della comunicazione, nel confronto diretto col professore bolognese, ne esce malconcio. Si capisce. Prodi con la sua calma ed i tempi lunghi, con il temperamento riflessivo e bonario, il cui lato aggressivo si traduce al più in qualche battuta pungente, mette in crisi il Cavaliere.
Ed alla fine, per la seconda volta, Prodi, il professore, la spunta.
Si impone
La Vittoria di Prodi tuttavia, ancora una volta resta una vittoria di Pirro.
In primo luogo vi sono i numeri. La maggioranza, così come uscita dalle elezioni, anche in seguito alla furba legge elettorale ideata dal centro-destra, è ristrettissima, talmente risicata che in Senato, l'appoggio dei senatori a vita è determinante.
Poi, il Professore Bolognese è letteralmente stretto in una morsa a tenaglia dalla quale è oggettivamente impossibile uscire. Internamente, la coalizione è troppo composita e male assortita. Le posizioni, peccato fin troppo tipico del centro sinistra -ne convengo- sono troppo divaricate ed eterogenee. Posizioni libertarie e finanche liberiste hanno da condividere gli spazi con posizioni del cattolicesimo sociale, a loro volta in opposizione alle posizioni della sinistra comunista e massimalista.
Non è possibile, in queste condizioni, produrre una politica di governo organica e coerente. Nonostante questo il biennio di Prodi riesce a produrre qualche risultato di pregio che tuttavia non passa poiché il governo è letteralmente circondato dalle truppe scelte berlusconiane.
La gran cassa mediatica composta dalle testate giornalistiche mediaset, da quelle rai ancora legate alla precedente maggioranza, operano un attacco impressionante volto a screditare e delegittimare il centro-sinistra.
In questi momenti la realtà non è più essa in quanto tale, ma il curioso ibrido così come sviluppato dall'azione comune di reportage giornalistici ed opinioni prezzolate.
Napoli. La monnezza. L'insicurezza. Il singolo atto di violenza che riproposto dalla gran cassa mediatica assurge a minaccia costante, prepotente ed ineludibile. A pensarci a posteriori è impressionante.
Il governo Prodi infine, sfibrato e sostanzialmente allo sbando, crolla dopo l'ennesimo adieu di Mastella.
Non è durato che due anni questa volta Prodi. Ma l'idea che infine fosse venuta meno la centralità di Berlusconi dura assai meno, qualche mese, forse. Ed è di nuovo il suo turno.
Vince a mani Basse contro un trasparente quanto velleitario Veltroni, la cui ricetta si risolve in una versione più soft e ben vestita della versione hardcore del Popolo delle Libertà.
Vince, e, per un certo tempo, sembra che voglia pure convincere. Smettere di essere il simbolo stesso dell'eterna guerra faziosa italiana per farsi grande Statista, assurgere a Padre della Patria e poi chissà, per uno abituato come Lui a puntare sempre più in altro, forse pure lo scranno del Quirinale?
Sono i tempi in cui si degna, prima volta nella sua decennale esperienza di governo, di festeggiare la Liberazione. Fa effetto vederlo, lui, imprenditore meneghino, personificazione e vanto dei bauscia, mettersi accanto a vecchi e corazzati partigiani nel ricordare la Resistenza.
Questo intervento è debitore in un certo modo a Silvio Berlusconi che, nel corso del suo ultimo, estremo, esausto videomessaggio ha lui stesso ricordato il primo, fortunato, messaggio a reti unificate della discesa in campo.
Allora proviamo a ricordare questo ventennio- che sottile brivido pronunciare questa parola che evoca altre epoche e ben altri lutti e ben altre tragedie.
Ricorderete- l'italia è il paese che amo, qui ho le mie radici, le mie speranze e i miei orizzonti, qui ho imparato da mio padre e dalla vita il mio mestiere di imprenditore, qui ho appreso la passione per la libertà.
1994, l'Italia che pareva volere riprendere in mano il suo destino, che, con Tangentopoli, con l'appoggio incondizionato che essa per qualche tempo ricevette dalla ggente (Curzi docet), dall'intellighenzia e dai media, provava a riprendere il proprio percorso di crescita civile e politica, libera dai lacci imposti dalla situazione internazionale bloccata dalla guerra fredda. Il crollo dei partiti (che, occorrerà forse ricordarlo, più che a Di Pietro, fu imputabile, essenzialmente, a loro stessi che, protetti da Yalta, non ebbero né la volontà né la capacità di operare una rigenerazione dall'interno) lasciava un vuoto che pareva dovesse essere in gran parte raccolto dalla gioiosa macchina da guerra dell'ex PCI.
In quest'Italia degli anni '90, il simpatico tycoon si inseriva col suo partito nuovo di zecca frutto, in egual misura, dei tecnici di publitalia e dei savi consigli di quella classe dirigente in fuga.
Guardatelo attentamente, ciò che serve é tutto là-
La comunicazione diveniva proprio con Silvio Berlusconi LA caratteristica della politica e poco a poco, a piccoli passi ed a piccoli strappi, essa finiva per prendere il sopravvento sul messaggio, sul contenuto.
La fine delle ideologie, o meglio, di un sistema basato su partiti dotati di piattaforme ideologiche, ovverosia di paradigmi interpretativi della realtà e di progettualità omogenee volte ad aggregare e dirigere parti della popolazione, lasciava il posto alla politica dei sondaggi. E da lì il passo al populismo, inteso quale stravolgimento fattuale delle regole democratiche, in una visione schiacciata e incapace di ampie progettualità, era brevissimo. Guardate questo spot d'epoca.
Terminata in fretta, e male, l'esperienza berlusconiana di governo 1994-1995, la sinistra, con Prodi, mite ma gagliardo professore di area democristiana, andava al governo per la prima volta consacrata da voti e regole elettorali favorevoli. Una vittoria di Pirro però. Poiché, nonostante essa procedesse ad occupare ministeri, enti ed aziende, restava succube dell'emergere e dell'imporsi del berlusconismo, inteso come cultura, e più ancora, morale dominante.
In questi anni si radica sempre più Berlusconi e la sua proposta culturale e politica.
Non solo, si libera sempre più audacemente da resistenze e pudori.
L'eguaglianza e la giustizia sociale si fanno sempre più radi nel discorso pubblico di Berlusconi.
La condanna della vecchia classe dirigente, poco a poco, si trasfigura nella sua riabilitazione. A rovescio va per la giustizia e il potere giudiziario: essi divengono, mano a mano che si procede al disvelamento dei peccati e peccatucci di Berlusconi, i nemici. Il cancro nel corpo sano della patria.
L'idea che sia non solo possibile, ma auspicabile, recepire e raccogliere gli umori più basici del paese- la pancia- ed in base ad essi elaborare proposte capaci di raccoglierne il consenso si fa strada prepotentemente. Guardate questo spot.
Come non riconoscere nelle voci e nei volti di queste giovani ragazze, di queste madri, semplici interpreti di moduli di rilevazione volti ad indagare le paure e le preoccupazioni degli italiani?
E' nel 2001 che questo particolarissimo sogno italiano rappresentato da Berlusconi raggiunge quasi la perfezione. E' del 2001 che si compie il congiungimento tra esso, pubblicità e politica. I soddisfacenti ed onesti anni del centrosinistra non possono reggere il confronto.
Che è, in fondo, l'entrata nell'euro se la si compara all'amore difficile di un ragazzo e una ragazza, divisi dallo stretto di messina, che il ponte farà trionfare?
Che è, in fondo, l'abbattimento del debito pubblico, se lo si compara al poliziotto di quartiere, che garantirà la sicurezza, tangibilmente, così messa a repentaglio dal governo dei comunisti?
Che sono, in fondo, gli ottimi risultati delle variabili macroeconomiche, di fronte al sorriso, a colori caldissimi, di Berlusconi che promette pensioni più dignitose?
Esatto, sto parlando del contratto con gli Italiani.
Forse in questo momento Berlusconi tocca il momento più alto del consenso. La maggioranza degli italiani gli è compattamente dietro, inebriata, persuasa che con lui possa infine realizzarsi quella promessa di felicità collettiva che si porta dietro.
Sembra paradossale, perché per un altro decennio egli sarà protagonista, forse ancora più assoluto.
Ma nel 2001 e negli anni a seguire il Presidente può contare non solo sui voti, ma sulla fiducia, forse anche sull'amore dei suoi elettori.
Dopo sarà qualcosa di totalmente diverso.
Poco a poco tante scelte sbagliate, tantissime, cominciano ad incrinare la magia.
La partecipazione alle guerre in Afganistan ed Iraq, che cozzano contro le sensibilità dell'elettorato italiano, e pure degli stessi interessi strategici del paese. Politiche economiche scellerate.
Naturalmente- il conflitto di interessi che pesa come un macigno ed al suo altare si consacrano provvedimenti, leggi e regolamentazioni ad personam.
Infine giunge la crisi economica che impatta violentemente sul paese rivelanolo, d'un tratto, fragile ed indebolito.
Sta poco a poco finendo un'epoca.
L'epoca di Silvio Berlusconi.
Un uomo che non può non dirsi grande e al quale più d'una riga della storia nostra sarà dedicata. Finisce con lui un'epoca a tinte forti, nella quale più volte le ombre hanno minacciato di coprire del tutto e vanificare le luci e le speranze che pure, audacemente, continuavano a voler crescere, protette negli interstizi più sani di quel tessuto, economico, politico, sociale che pareva dover marcire tutto.
Finisce a pochi passi dal precipizio di una crisi finanziaria irreconciliabile. Finisce quando lo "spread", questa strana parola, in fretta divenuta a tutti gli italiani familiare, stava per travolgere tutto.
Ora, proprio ora, che questo nostro paese si scopre così fragile, vulnerabile, incerto al suo interno, attorniato da sfiducia fuori e pressioni centrifughe dentro, ora, questo nostro stivale, ci scopriamo ad amarlo di un amore più sentito, in tutte le frammentate sfumature di cui si compone, dai caldi e forti colori del nostro sud a quella pianura padana su cui tanta retorica politica è stata compiuta.
Vent'anni stanno infine per consegnarsi alla storia, e ci si scopre all'improvviso stanchi di quelle facce, dei volti, di quelle parole, sempre più pesanti sempre più vuote, che hanno accompagnato questo strambo declino italiano, sul cui esito, ancora oggi, nessuno sa dire con certezza.
Finisce un poco com'era cominciata tanti, tanti anni fa. Voto parlamentare, sgretolarsi di una maggioranza e la sconfitta, scolpita, sul volto di quell'uomo che perdere non ha saputo mai e guardandosi attorno, godendosi gli ultimi esausti applausi sembra domandarsi il dubbio di un "Che Fare?" solo poco più personale e stravolto.
Non è il momento di trarre bilanci, adesso, che in corso è la storia ed il passaggio. La fine. La gente che si ammucchia imprecando intorno ai palazzi del potere, gli antichi, Palazzo Chigi, e quelli che si è imparato a conoscere, Palazzo Grazioli, la gente urlante senza posa dimisisioni-dimissioni, e che confida nella notte in una catarsi che difficilmente verrà se non a costo di sacrifici, i loro, e di lunghi tempi, quelli della politica.
Ho atteso un poco prima di postare un articolo sull'ultimo sforzo registico di Francesco Patierno per non risultare vincolato, nel giudizio, a esiti di Botteghino (rivelatisi quasi disastrosi) e premiazioni varie (infruttuose).
Vengo subito al punto e a quella che è la mia tesi:"Cose dell'altro mondo"è un film strutturalmente razzista.
Lo è nonostante gli intenti che si palesano viceversa come aspramente critici nei confronti di una certa mentalità del nord-est (ma il concetto può tranquillamente estendersi a l'Italia tutta) la quale non fa che considerare lo straniero, il diverso, istigata spesso da piccoli ducetti del tubo catodico (nel film Diego Abatantuomo, imprenditore dalla nuance leghista, sforzato accento veneto, moglie imborghesita ed amante da raccattare a tarda notte lungo i viali) come nemico, ladro di lavoro, sussidi e donne a coloro che pretendono di restare "padroni a casa loro".
La domanda che si pone, e ci pone, il regista (peraltro riprendendo pari pari in questo il bel film di Sergio Arau, Un giorno senza Messicani) è semplice. Che accadrebbe alle nostre città, al paese, alle nostre vite se un bel giorno, in seguito ad un bel temporalone tutti gli stranieri svanissero?
Il regista, disciplinatamente, ce lo espone: un disastro di proporzioni colossali: rifiuti sparsi per tutta la città, ché gli spazzini son tutti stranieri, fabbriche chiuse, che gli operai sono tutti di loro e persino, persino (e non sto scherzando) Patierno ci spiega che non vi sarebbe più meretricio, rendendo peraltro sciaguratamente infelice Abatantuomo e il suo rapporto amoroso da 50 euro all'ora consumato in pacchiano SUV tedesco.
Il primo motivo per cui il film si dimostra intrinsecamente razzista è scritto proprio qui sopra: esso considera la dimensione, la vita dello straniero solo, o principalmente, nel suo aspetto funzionale. Lo si vede nella maniera in cui la borghese signora Abatantuomo impazzisce nello scoprire di dover preparare ella stessa la colazione, o allorquando Mastandrea scopre di doversi lui stesso occupare della madre finto rincitrullita, che la badante pure è data per dispersa.
Lo straniero è utile perché ci serve, sembra essere la tesi di fondo, ed in questa piccola tautologia pare essere racchiuso il difetto principale del film: l'incapacità di pensare all'altro,al diverso in quanto persona, con pregi e con difetti, simpatico o stronzo ma sempre, e comunque, persona con i suoi diritti e la sua dignità. Non si capisce se per secondare i gusti del pubblico o viceversa per un deficit concettuale degli autori, ma il film non perviene mai ad una considerazione di questo tipo.
Vi è senz'altro il tentativo di umanizzare questa figura monodimensionale, lo è negli intrecci tra l'italiana maestrina e l'operaio della fabbrica del papi, tra il papi e la prostituta mezza amante e mezza psicologa, lo è nella figura del tenerissimo bambino di colore che sfinito dalle derisioni dei cattivi compagni viene sorpreso con gessetti in mano intento a imbiancarsi il volto speranzoso che eliminando la diversità della pelle si eliminino anche gli scherni e le cattiverie degli altri bimbi.
Ma anche qui, nel momento in cui la stilizzazione, che pure potrebbe avere un senso nella cifra complessiva del lavoro, cede il passo alla caratterizzazione a mio parere, il regista cade, e male, nella misura in cui tratteggia soltanto figure di santi uomini e sante donne, operai irreprensibili, fedeli, onesti, buoni, tutti fabbrica e famiglia; mercenarie intente a sorridere compassionevoli e fare doni a squallidi cinquantenni intenti ad abusare di loro.
Quasi come se fosse solo così, zuccherosi, candidi e melensi che gli stranieri possano essere accettati e riconosciuti dal pubblico nostrano: ma in sé questo tipo di accettazione è un rifiuto, poiché utilizza parametri differenti rispetto a quelli richiesti alla propria comunità. Pare di rivedere, 50 anni dopo però, il gran protagonista di Indovina chi viene a cena, il quale per essere accettato, nella finzione cinematografica, dai genitori della sua amata e, più in generale, al pubblico pagante, doveva presentarsi come brillante dottore laureato col massimo dei voti, intelligente, acuto, buono, altruista, disinteressato e, naturalmente, molto, molto umile. Di anni ne sono passati assai, ma pare che per il regista la lancetta dell'orologio si sia bloccata e che ancora non sia stato compreso che, perché accettazione sia, lo straniero lo si deve raffigurare per quel ché, anche odioso, e la reazione ha da essere "Che persona odiosa!", e non "Odioso straniero!"
Di più, a questo razzismo se ne palesa, a mio avviso, uno di tono del tutto differente ma del tutto speculare: quello nei confronti degli italiani. Essi sono rappresentati come crudeli, nei bimbi che deridono il loro compagno, arroganti ed incapaci, nel non saper organizzare la raccolta rifiuti, o lavorare in fabbrica, o badare all'anziana madre non autosufficiente. Questa schematizzazione risulta particolarmente fastidiosa perché in una certa misura è insultante verso il pubblico, che pare quasi non essere considerato capace di comprendere ed assimililare concetti che vadano al di là del bianco e del nero, del buono e del cattivo, ed in un'altra misura incoraggia una visione conflittuale della convivenza, limitandosi a spostare, in ultima analisi, l'accusa dagli accusati agli accusatori, escludendo a priori la possibilità di un mondo nel quale buone persone di differenti origini e culture possano convivere armoniosamente per sostenersi nel cercare di creare un futuro di benessere per tutti.
Credo che con questa cifra stilistica il cinema italiano possa con tutta tranquillità rinunciare alle sue funzioni educative oltreché a qualsiasi velleità internazionale: se è vero che la cucina italiana non ha rivali e conta estimatori in tutto il globo terracqueo tuttavia, credo, certe sbobbe sarebbero difficilmente digeribili anche dagli stomaci più generosi!
Innanzitutto una notizia: Berlusconi ha perso questa tornata elettorale, e pure il PDL, ed anche la Lega.
Tuttavia la storia recente dovrebbe quantomeno indurre ad astenersi da trionfalismi eccessivi ed analisi slabbrate della situazione politica. La sconfitta ad una tornata elettorale non può significare la disfatta politica totale: non lo è stato in passato, anche di fronte ad esiti elettorali ancora più drastici, e vi sono ragioni per credere che non lo sarà questa volta.
Il consiglio è dunque quello di non stare ad ascoltare i molti profeti che per l'ennesima volta si produrranno in scoppiettanti dichiarazioni sull'inesorabile declino del berlusconismo e sulla sua fine ormai prossima. Ritenere che questa siffatta debacle elettorale rappresenti il crollo dell’“incantesimo berlusconiano”, il ripudio infine scoppiato verso quel modo di condursi nell’agone politica, il rigetto verso le sue parole e pratiche, risulta quantomeno prematuro.
Dietro la “breccia di Pisapia”, come intelligentemente l’ha definita Mentana, sta a mio avviso, molto più prosaicamente, un giudizio sul governo. Non dunque giudizi morali, non l’infinita querelle sul bunga bunga né escort e festini.
L’elettorato di centro-destra ha punito i suoi rappresentanti per come si è condotto il governo negli ultimi mesi. A bocce ferme, era un risultato che si poteva prevedere.
Gli sbarchi di migranti sulle spiagge di Lampedusa, il cui peso e la cui importanza sono stati amplificati dagli stessi media e dagli stessi ministri berlusconiani e leghisti, hanno contribuito a instillare nell’elettorato di centro-destra un giudizio negativo che, unito alla non florida situazione economica e ad una guerra sciagurata, non voluta, contraddittoria e mal gestita hanno, a mio avviso, determinato l’esito dello scontro elettorale.
Il fatto che Berlusconi, in questo contesto, si presentasse agli elettori domandando voti e preferenze per condurre la sua personalissima battaglia contro le procure della repubblica è stato, a mio avviso, un errore grossolano. Il Presidente del Consiglio avrebbe dovuto comprendere che una richiesta di questo tipo era sbagliata e contraddittoria: contare su una sostanziale indifferenze degli elettorirelativamente ai propri guai giudiziari è qualcosa di completamente differente dal domandarne una mobilitazione attiva a suo sostegno.
A fronte di questa situazione, l’alleato leghista non ha potuto raccogliere la protesta di centro destra, come altre volte aveva fatto in passato: l’atteggiamento contraddittorio nei confronti della guerra di Libia, l’impotenza nei confronti degli sbarchi di migranti, ne hanno decretato la sconfitta elettorale.
Il 16 Maggio è andato dunque come, a freddo, si poteva prevedere: in 3 casi ha vinto il centro-sinistra e 0 il centro-destra.
Tuttavia, proprio perché si tratta di un giudizio pragmatico sull'operato del governo, ritengo, è ancora possibile che esso venga ribaltato, qualora il governo stabilisca e riesca a mantenere una direttrice di governo più congruente con quella dei suoi elettori.
Nell'intervista concessa a Libero (che potete trovarequi), il ministro per la pubblica amministrazione e l'Innovazione Renato Brunetta, si produce in considerazioni che, in un crescendo Wagneriano, si ritrovano ad esaltare il centro-destra italiano, a detrimento di un centro sinistra (o sinistra-centro come lui preferisce definirlo) tutto "camaleonti, transfughi e paguri".
Al di là dei modi, i quali non possono che irritare, considerando la fonte istituzione dalla quale essi sorgono, tuttavia, ritengo vi siano elementi in queste considerazioni che dispongono una loro forza data, in sostanza, dalla loro attinenza con la realtà politica.
E' innegabile che questo centro sinistra in tutte le sue vittorie si sia fatto scudo di "un papa straniero" (ed uno solo vincente: Prodi) per conseguire pur risicate maggioranze, raccogliendo viceversa più o meno sonore sconfitte allorquando ha tentato di proporsi con candidati organici (da Ochetto a Veltroni per intenderci), sottolineando un'incapacità di fondo nel relazionarsi con strati maggioritari della cittadinanza italiana, forse anche a causa, come sottolinea il ministro, di non disporre più di "alcuna base sociale di riferimento (....)alcuna ricetta di politica economica."
E’ ancora vero che il processo di evoluzione social-democratica del PCI è rimasto in parte monco, troppo schiavo di negoziazioni e compromessi infiniti tra le innumerevoli componenti interne, tra queste e gli alleati cattolici, tra questi ultimi e la sinistra comunista, a sua volta ingaggiata contro i radicali, nel frattempo impegnati in una lotta dura contro il dipietrismo , il tutto mentre la società civile premeva con altre istanze e differenti richieste.
In questo guazzabuglio parlare di centro-sinistra resta in gran parte un’astrazione, essendo nei fatti rimasto allo stadio di cartello elettorale che in vent’anni non ha saputo evolvere ed elaborare proposte e programmi rivelatori di una concezione della conduzione del nostro paese organica, mentre dall’altra parte emergeva, s’imponeva e tiranneggiava la straordinaria forza di Berlusconi, avversario duro, attrezzato, il quale avrebbe destato preoccupazioni anche ad un centro-sinistra in condizioni migliori. Qui do ragione a Brunetta.
Naturalmente, ricavare dalle altrui debolezze supposizioni sulla propria fortezza mi pare alquanto azzardato. Il ministro accredita ai governi di centro-destra la capacità di avere prodotto riforme “della scuola, delle università, della pubblica amministrazione”, quando la più grande debacle del berlusconismo e della sua forma di governo, è data dalla incapacità dimostrata lungo 4 governi, di assumersi e perseguire un’azione di riforma strutturale del nostro paese. Egualmente una presunta “superiorità morale” dei partiti di governo è difficile da accreditare, ancor più quando Brunetta stesso, nell’evocare il martirio mediatico al quale il premier sarebbe stato sottoposto, non trova altra argomentazione che contrapporre l’anonimato garantito a eventuali presidenti democristiani omosessuali con la pubblicità resa ai presunti rapporti sessuali con minorenni del Premier, come fosse paragonabile la libera scelta di orientamento sessuale di individui con la condotta penalmente perseguibile di Berlusconi.
Risulta dunque perlomeno una forzatura questa smargiassa dichiarazione di superiorità e disprezzo per l’avversario politico ma, dando un occhio al calendario essa risulta, quantomeno, più comprensibile
Un altro dei mali che affliggono il nostro paese. Più che l'incapacità, il disinteresse totale per ciò che accade al di fuori dei nostri confini. La mentalità da strapaese che non si capisce se per paura o ignoranza o egocentrismo rifiuta impietosamente di confrontarsi con quanto succede nel mondo.
Non è che non se ne parli in assoluto. E' che non ci sono le notizie. C'è qualche opinione e questo dannato atteggiamento di collegare ogni accadimento mondiale ai ristretti ed angusti problemi di bottega de noiartri.
Rivolte in Egitto? Il procedimento di tutto il giornalismo all'italiana (ma proprio tutto) è Egitto, dunque Mubarak, dunque la nipote di Mubarak,dunque Ruby, dunque Berlusconi.
Libia? Libia, Gheddafi (che poi sarebbe Chaddafi), baciamo le mani,Berlusconi
L'orrenda sciagura del Giappone? Giappone, Centrali Nucleari, Nucleare, Berlusconi.
E' avvilente. E a mio giudizio questo spaccato di informazione, che tuttavia è anche uno spaccato dell'opinione pubblica, la quale, anche nelle sue componenti più colte, è restia ad interessarsi di quanto accade nel mondo, ci narra di un paese incapace di concepirsi all'interno del mondo contemporaneo, incapace di concepire per se stesso un ruolo che non sia quello di teatrino scalcagnato di Pulcinella a servizio della platea mondiale
L'ultima di Giulano Ferrara. In mutande ma vivi.
Riassumo per esigenze di spazio il suo discorso, naturalmente cercando di rispettarne spirito e costruzione.
In sostanza la retorica ferrariana si costruisce attorno all'idea della naturale imperfezione dell'essere umano e dei suoi prodotti, tanto concreti che intellettivi.
Da questo presupposto si dipana il discorso il quale esecra ogni tentativo di utilizzare la morale per scomuniche a livello politico ciò che è di per sé personale e dunque, secondo il Ferrara, privato. Ogni tentativo di giudizio di questa sfera intima e riservata della persona finisce per essere antidemocratico, giacobino, puritano ed autoritario giacché poggia su una concezione della verità dalla quale deriva una interpretazione autoritaria e fanatica della lotta politica.
Ci limitiamo a rilevare innanzitutto che tramite queste alte considerazioni il Ferrara non condivida la considerazione comune praticamente a tutte le culture (oltre che a tutte le legislazioni) per la quale un vecchio di 75 anni che fa del sesso con una ragazzina di 17 anni è qualcosa di sbagliato.
Di più, ci pare che l'elefantino nel momento stesso in cui lancia il suo j'accuse modifica, abilmente bisogna dire, la sostanza della questione. Attacco neopuritano / giacobino nei confronti del premier? Ossessivo scavare nel privato di un uomo colpevole solo di essere troppo generoso?
Non scherziamo perfavore.
Fossimo dall'altra parte dell'Oceano al premier gli avrebbero lisciato il pelo che neanche Santoro se ci si mettesse d'impegno.
Perché? Be' perché è sesso, è scabroso. Il potere, i soldi. Ed il sesso. Gli ascolti si impennano naturalmente.
Non scherziamo dunque. Accusare giornali e opposizione di attacco neopuritano/giacobino è una sciocchezza. Giuliano Ferrara dovrebbe saperlo dato che là sta la fonte dalla quale si abbevera.
Il problema è qua. Perché dunque sostenere una tesi di questo tipo? La chiave di volta della costruzione della difesa di Berlusconi si basa su questa premessa: fare passare l'idea che si tratti di una questione etica.
Se diviene una questione etica, se si riesce ad impostare un discorso di questo tipo, allora sarà dibattito, cagnara. Da un lato chi sosterrà il diritto di un uomo a relazioni plurime, chi invece lamenterà il decadimento del paese a fronte di un capo del governo immerso in scenari licenziosi.
Il problema a mio parere è che l'etica è secondaria, forse terziaria, rispetto all'affaire Bunga Bunga.
Il problema primario è la legge.
Vai con delle minorenni? Violi la legge. A casa.
Paghi per prestazioni sessuali? Violi la legge. A casa.
Fai pressioni su un funzionario pubblico? Violi la legge. A casa.
Poi c'è la questione secondaria. La questione dell'etica pubblica.
Candidi alle regionali la tua dentista 20enne, e alla quale ti lega "un sentimento affettuoso"? Snaturi la funzione politica del partito in un sistema democratico, incidi sulle possibilità di scelta degli elettori, manifestatamente operi scelte che per il loro carattere anti-meritocratico sono di fatto antidemocratiche. A casa.
Queste sono a mio avviso le questioni di cui si deve parlare. Queste sono quelle che il Ferrara forse preferirebbe non affrontare
Mi ricollego al bel post di Alessandro relativo alla paventata modifica dell’articolo 41 che potete trovare qui. Mi consento di approfondire alcuni aspetti che risultano, per così dire, più congruenti con l’impostazione generale di SERATA DI CHIUSURA: INFORMAZIONE LIBERA e più affini alle mie personali inclinazioni.
L’intenzione stessa di modifica dell’articolo 41 risulta a mio avviso cruciale nella misura in cui consente di comprendere come oramai molte delle politiche perseguite dai differenti governi italiani assumano in buona sostanza una funzione meramente declaratoria. Lungi dall’essere capaci di incidere concretamente nella realtà sociale esse si limitano a mimare un’intenzione con speranza, più o meno ben riposta, che i soggetti coinvolti reagiscano ad essa come se fosse effettiva.
Finiti i tempi delle ampie progettualità strutturali che hanno dotato questo paese di un sistema sanitario nazionale pubblico e gratuito, di un sistema scolastico capillare ed insomma di un welfare state, oggi pare quasi evidente l’incapacità che riscontra lo stato di incidere sulla società.
E laddove il legislatore consideri come credibile la possibilità che un’aggiunta ad un articolo della costituzione, tutta declaratoria e di principio, si riveli capace di generare un mutamento nel sistema economico italiano… be’ ci sono implicazioni ulteriori.
Si è parlato spesso di crisi del sistema politico, imputando tale crisi ora alla crisi della classe dirigente, ora all’assetto istituzionale, ritenendo che fosse sufficiente modificare l’una e l’altra per correggere le storture e ridare efficacia ed efficienza all’impianto statale.
Quasi nessuno ha invece ritenuto, ed io mi limito soltanto a porre il quesito, anche intimamente sperando di sbagliarmi: non è forse che è proprio la forma stato ad essere andata in crisi? Voi che ne pensate
Caro Maurizio (Belpietro),
non ti inquietare. Non è che mi preoccupo che tu possa immolarti sul muretto di Dongo. Mi rassegno pure sul fatto che il premier, probabilmente, riuscirà a superare pure questa.
Mi rassegno pure sul fatto che ad ogni evidenza il consenso non cala nonostante le voci di "fotine" tutt'altro che caste. Me ne faccio una ragione se neanche questa volta "indagini giudiziarie e agguati parlamentari" son riusciti a farlo inciampare.
Faccio ancora un poco di fatica tuttavia ad accettare che si possa arrivare fino al consiglio regionale, fino in parlamento ed oltre per avere preso "110 e lode" all'università e soprattutto per essere gran belle donne nelle grazie del primo ministro.
Ancora mi pare disdicevole che Berlusconi debba pagare plotoni di donne e organizzare simili festicciole mentre il paese soffre come non mai la crisi economica ed il crollo del welfare.
Faccio pure molta fatica a comprendere come mai il primo ministro si senta legittimato ogni volta ad ignorare bellamente norme e procedure, che di una democrazia sono anima e garanzia.
Oppure la totale inattività, inerzia e sterilità del governo degli ultimi 6 mesi che non è stato capace di produrre un decreto dico uno od un regolamento degno di nota. Ecco, questo mi suscita ancora un certo fastidio.
A volte anche in me sale quel misto di rabbia, indignazione, noia, stanchezza che conduce il mio povero spirito civico a eclissarsi e s'impossessa di me quasi il demone Grilliano e a stento tengo a freno la lingua che altrimenti esploderebbe in un sonoro "Vaffanculo!". Basta con Berlusconi, basta con Napolitano, basta con quest'opposizione malferma e senza prospettiva, basta con i sindacati, il capitalismo italiano e basta con quest'Italia.
Certi giorni, magari complice un cielo più plumbeo del solito, mi prende un rigetto totale quasi violento, per quelli che, qualche post addietro, ho definito, un poco retoricamente, la masnada di bravacci al soldo del potere. Verrebbe da mollare e ritenere che ciò che si poteva fare è stato fatto, e dunque, ad un certo punto, che questa mia Italia si merita ciò che ha, per averlo prodotto con le sue molte pochezze. Adieu. Addio. Tanto vale un vaffanculo che almeno svuota da troppa bile, una raccolta di firme in piazza per mandarli a casa, questi politici, questa classe dirigente, questo mondicchio di ruberie, favori e malaffare. Verrebbe veramente da dirlo, e da farlo.
Ma, com'ebbe a dire Pio VII di fronte all'avanzata napoleonica, noi non possiamo, non dobbiamo non vogliamo. Perché è un nostro preciso dovere morale. Io, noi, viviamo nel paese che è il frutto del sudore, del lavoro, dei sacrifici dei nostri padri e dei nostri nonni e ad esso ci lega qualcosa di più forte del sangue: l'impegno e la promessa che è stata fatta dalle generazioni che ci hanno preceduto di rendere questa terra un paese migliore, più giusto, più libero e più equo.
Dunque ciò che occorre dirci è "Ancora!", proviamoci, raccogliamo tutte le nostre energie, i saperi e le abilità e, testardi, continuiamo a provarci, in ogni modo, a qualsiasi prezzo, per trovare soluzioni, risposte, educare i nostri concittadini, lottare senza paura contro questa cultura di massa vile, disonorevole e degradante.
Ci saranno difficoltà? Sicuramente. Ma anche quando questa battaglia sembrerà perduta, ognuno di noi, noi cittadini, dovrà fissarsi nella mente l'obiettivo e trovare in sé la forza per un altro passo, un'altra azione, un altro articolo
"Le donne devono obbedire, badare alla casa, mettere al mondo figli e portare le corna" Benito Mussolini
"“Vedo laggiù in prima fila rappresentanti di notevole livello estetico. Sapete che sono innamorato di mia moglie, ma non ho perso il senso estetico e noto delle gambe straordinarie che circolano. E lei, presidente Fisichella, non faccia la spia” Silvio Berlusconi.
Perché ho riportato queste due frasi ? Per sostenere un’improponibile paragone tra Mussolini e Berlusconi? No. Per sostenere un’altra argomentazione, forse più preoccupante e forse più grave.
A mio avviso, ciò che muove il carattere e le passioni profonde degli italiani, in 80 anni, non è cambiato.
L’elogio, l’esposizione sfrenata di una sessualità e di una virilità deteriore suscitano ancora ammirazione e invidia da parte della maggioranza di noi. Questa impostazione machista dei rapporti tra identità di genere si rivela dunque un fattore culturale costitutivo.
Cambiano (e di molto) le vesti: un tempo era il fez ora il trapianto, un tempo la donna bucolica ed ora la donna medicalizzata zeppa di silicone e in costumi succinti in giro per programmi tv, discoteche e feste di paese. Ma ciò che resta è, direi, l’incapacità per l’italiano medio di pensare alla donna (ma questo discorso si può allargare a tutte le identità di genere) in un ottica che non sia strumentale e sostanzialmente passiva.
Sembra quasi, a mio avviso, che anche il berlusconismo rappresenti un’altra occasione per disporre di un’autobiografia della nazione (Gobetti), la quale a suo volta ci svela delle pochezze e delle mediocrità che gravano sul nostro paese, per tanti altri versi amabile e bello.
Sono 150 anni dall’unità d’Italia. E’ sconfortante certo, ma egualmente da questo sconforto deve nascere in noi tutti lo sprono per raccogliere nuove energie e darci sotto con il lavoro intellettuale, sociale e civile al fine di essere degni di tanti illustri padri della patria che hanno dato alle loro vite il fine di costruire un paese migliore, equo, libero, solidale e prospero